Chiesa di San Giorgio
La Chiesa di San Giorgio è tra le più bella chiesa barocca della città.
Procedendo per il centro storico è possibile ammirare diverse architetture che segnalano la presenza di numerosi ordini religiosi.
Sulla strada che unisce il duomo alla chiesa di Palazzo Sant’Agostino, oggi Santuario della Madonna di Costantinopoli, nella quale è venerata l’icona della “Madonna dei Salernitani” (La Madonna che viene dal Mare), insiste la rettoria di San Giorgio, edificio appartenente all’antico complesso benedettino della città.
La Chiesa di San Giorgio è tra le più bella della città.
Di stile pienamente barocco, il suo ingresso passa quasi inosservato.
Il complesso è uno dei più antichi insediamenti monastici di Salerno.
Entrarvi è un’esperienza unica.
Le opere interne sono state realizzate dai grandi pittori campani del XVII e XVIII secolo, tra queste sono da ricordare gli affreschi e le tele del maestro Angelo Solimena e di suo figlio Francesco.
La chiesa custodisce inoltre un “tesoro nascosto”.
Posti al di sotto del pavimento, si conservano i resti di un’abside affrescato con una teoria di Santi, risalente alla prima chiesa dell’VIII secolo.
L’attuale chiesa di San Giorgio era originariamente parte di uno dei più antichi insediamenti monastici di Salerno, quello, per l’appunto, del monastero di San Giorgio, oggi trasformato in caserme della Guardia di Finanza nel lato nord e dell’Arma dei Carabinieri a sud.
La sua origine è contemporanea all’insediamento longobardo. La prima menzione, infatti, si trova in un diploma dell’819, successivo di soli trenta anni al complesso palatino di San Pietro a Corte, fondato da Arechi II nel 787, che sorge proprio di fronte e a breve distanza. Nel documento, esso viene indicato come dipendenza del prestigioso monastero benedettino di San Vincenzo al Volturno e viene definito cellam Sancti Georgi infra salernitanam civitatem. Con questa dizione viene citato in diversi altri diplomi che confermano la dipendenza da San Vincenzo al Volturno.
Probabilmente, all’inizio doveva trattarsi di un semplice insediamento, successivamente ampliatosi in una vera e propria struttura monastica.
Il monastero è organizzato intorno alla centralità della chiesa, con due grosse aree ai lati, una a nord ed un’altra a sud. Questa configurazione lascerebbe intuire un nucleo originario medievale ed un’espansione in età moderna sui lati. Una conferma potrebbe venire dai resti di un’abside affrescata della chiesa originaria, rinvenuta negli ultimi restauri, che fornisce una serie di informazioni utilissime sulla vita dei primi secoli del monastero. Essa, infatti, si trova a breve distanza dall’ingresso della chiesa attuale, ma con un orientamento opposto indicando che l’ingresso originario era sul lato verso occidente. Era, quindi, ubicato esattamente nell’immediata area del complesso di San Pietro a Corte. La decorazione dell’affresco, con motivi geometrici a treccia e la parte inferiore di una teoria di santi, indica una collocazione nell’ambito della cultura artistica medievale campana predesideriana ante 1071. A questo periodo dovrebbe appartenere un pluteo marmoreo, ora conservato presso il Museo Diocesano, raffigurante una croce centrale clipeata, inserita in una circonferenza, comune nella cultura artistica altomedievale dell’area campano-laziale, ispirata con ogni evidenza a modelli di origine paleocristiana e bizantina.
Nel 1163 esso risulta essere passato alla dipendenza dell’Arcivescovo di Salerno.
Un altro momento fondamentale della vita del cenobio si verifica negli ultimi decenni del XVI secolo, quando in seguito al breve pontificato di papa Sisto V, i monasteri femminili della città vengono unificati secondo l’Ordine di appartenenza. E a San Giorgio vengono trasferite tutte le monache benedettine di Santa Sofia, San Michele e Santa Maria Maddalena insieme ai loro cospicui beni.
All’inizio del Settecento, il noto architetto napoletano Ferdinando Sanfelice realizza la rinnovamento del monastero, coinvolgendo il refettorio e le camere delle suore.
Durante il decennio francese il monastero non rimase aperto. La sua chiusura definitiva, invece, avvenne dopo l’Unità d’Italia, nel 1866. Sopravvisse solo la chiesa. Le strutture monastiche diventarono demaniali e destinate a caserme militari.
La Chiesa di San Giorgio è costituita da un’unica navata, riccamente decorata in età barocca con affreschi, stucchi preziosi e arredi in legno dorato, con cappelle laterali e transetto, di forma rettangolare.
L’aula religiosa venne ultimata nel 1674, come è indicato nell’iscrizione sulla controfacciata, ma la data 1560, apposta sul portale di ingresso, indica l’anno in cui è stato operato il rovesciamento della pianta della chiesa, che in origine doveva aprirsi sul vicolo della Neve. Con il restauro post-terremoto del 1980, al di sotto dell’attuale pavimento, sono riemersi i resti di una struttura absidale affrescata, anteriore al X secolo: per renderli visibili è stato installato un impianto ad azionamento elettrico che solleva il pavimento.
La prima zona ad essere dipinta deve essere stato il soffitto fino alla cupola, quindi i santi delle pareti e dei sottarchi delle cappelle insieme al ciclo della Passione e quello con le storie del martirio delle sante Tecla, Archelaa e Susanna. Il ciclo vasto e complesso, certamente non realizzato nel giro di un solo anno (1674/75) ma lungo un arco di tempo più vasto, deve avere impegnato una attrezzata bottega artistica. Non tutto, infatti, è riconducibile alla mano di Angelo Solimena, il quale nel 1675 firmava il ciclo della Passione nella volta della cantoria con la scritta Angelus Solimenus pingebat 1675.
Una attenta lettura stilistica, a restauri ormai ultimati, consente di individuare, proprio a partire dal ciclo della Passione, le parti certamente autografe. Qualche perplessità lasciano i restanti dipinti, soprattutto le storie di San Benedetto, la cupola con i pennacchi e le figure allegoriche delle volte unghiate. La decorazione della cupola con il Paradiso viene esemplata su quella realizzata a Napoli dal Lanfranco nel 1641 nella Cappella del Tesoro del Duomo di San Gennaro. Se si pensa che precedente alla cupola salernitana si conoscono solo due esempi (quella di Agostino Beltrano del 1655 in Donnaregina Nuova e quella di Luca Giordano del 1671 in San Gregorio Armeno) si può ben valutare l’importanza dell’opera nell’ambito della pittura napoletana.
I restanti dipinti raffigurano in cinque pannelli alcuni episodi della vita di San Benedetto (Il Santo spezza gli idoli in controfacciata, San Benedetto converte Totila, La liberazione dell’ossesso, La guarigione del figlio della contadina, Il miracolo dell’acqua). Nelle unghie laterali, invece, sono dipinte coppie di sante e di figure allegoriche di virtù. Tutta questa zona esprime una omogeneità stilistica che potrebbe configurare la presenza di un secondo artista accanto ad Angelo Solimena. Questo problema, che dovrà essere suffragato da ulteriori ricerche anche in sede documentaria, viene sollecitato anche da una strana firma proprio ai piedi degli evangelisti dei pennacchi della cupola, dove si ritrova uno strano monogramma di una Esse con un leggero prolungamento a formare una G., molto diverso da quello del Solimena che intreccia una Esse con una A.
Precedente, ma non di molto, a questa vasta decorazione vanno considerati i resti dell’affresco, nella cappella delle sante martiri, raffiguranti Il trasporto delle spoglie da Nola a Salerno. Il pannello, in origine, doveva decorare una lunetta, come sembra indicare la sua configurazione, e, successivamente, è stato inserito all’interno della cornice dell’altare. La sua cultura riprende ampiamente i canoni tardomanieristi alla maniera di Belisario Corenzio.
Al primo decennio del Settecento va datato l’affresco di Michele Ricciardi raffigurante La visione di sant’Idelfonso.
L’opera più antica è la tavola di Andrea Sabatini, datata 1523, raffigurante La Vergine con il Bambino e santi e una suora orante, collocata su uno degli altari a destra. Si tratta di un dipinto che, nonostante i richiami raffaelleschi, denuncia ancora fresco l’interesse per l svolta manierista di qualche anno prima nella Madonna di Costantinopoli del Museo Diocesano di Salerno e Le nozze mistiche di Santa Caterina del convento di Sant’Antonio a Nocera Inferiore.
Al primo quarto del secolo XVII deve essere collocata la grande tela a capoaltare raffigurante Il martirio di san Giorgio, opera di un pittore tardomanierista che nella parte centrale con la decollazione del santo è sollecitato dall’omonimo soggetto realizzato da Luca Cambiaso per la chiesa di San Giorgio a Genova.
Altri dipinti riportano al periodo di ultimazione dei lavori nella chiesa. Si tratta di almeno tre tele raffiguranti San Gregorio Magno, La Sacra Famiglia con san Giovannino, La visione di san Nicola di Bari, datate 1669, opere di Giacinto De Populi, indicato dal De Dominici come allievo di Massimo Stanzione. Alla stessa cultura tardonaturalista rimanda un altro dipinto, oggi, conservato presso la Guardia di Finanza, raffigurante Le sante Tecla, Archelaa e Susanna.
Dopo il terremoto del 1688 inizia una campagna di rinnovamento che coinvolge sia la chiesa sia il monastero. Nel 1694 la stessa badessa Isabella Pinto commissiona l’indoratura dell’intera chiesa al maestro Nicola D’Acunto di Vietri sul Mare.
Nel 1697 allo scultore Matteo Fumo vengono commissionati busti lignei delle tre sante Tecla, Archelaa e Susanna, che ancora oggi si conservano nel vestibolo.
Nel 1702 i fratelli marmorari carraresi Bartolomeo e Pietro Ghetti realizzano il lavamano per la sacrestia della chiesa. Agli stessi viene attribuito anche lo straordinario altare maggiore realizzato in commesso marmoreo e decorato con pregevoli bassorilievi raffiguranti san Giorgio che trafigge il drago.
Ai primi decenni del XVIII secolo vanno collocati anche i sei dipinti verticali che decorano le pareti in controfacciata e la zona del presbiterio, raffiguranti Gesù e la Samaritana, Noli me tangere, La traditio clavium, I pellegrini di Emmaus, La Carità, La Fede, tradizionalmente attribuiti a Giovan Battista Lama, ma che potrebbero anche risultare, considerata l’alta qualità delle tele, del suo maestro Paolo De Matteis, autore in questi stessi anni di una serie di virtù per la Certosa di San Martino a Napoli.
Nella medesima cappella dedicata alle sante Martiri, a distanza di soli cinque anni da Angelo Solimena interviene anche il figlio Francesco, il quale realizza tre celebri pannelli murali raffiguranti Le sante condotte al martirio, La visione di suor Agneta, Le sante in meditazione (frammentario e lacunoso), che costituiscono le migliori opere barocche presenti a Salerno. Le notizie su questi dipinti ci sono fornite da Bernardo De Deminici, il quale afferma che furono realizzati dal pittore all’età di 23 anni: Fu chiamato nella città di Salerno circa quel tempo stesso, ove ebbe a dipingere a fresco i Martirii delle Sante Tecla, Archelaa e Susanna, nel Monistero di San Giorgio,ove parimenti dipinse ad olio il bel quadro di S.Michele Arcangelo, essendosi allora in età di soli 23 anni.. Considerato che Francesco nacque a Canale di Serino nel 1657, i dipinti di San Giorgio furono realizzati nel 1680. La stesura degli affreschi, distaccati dal supporto murario agli inizi degli anni sessanta per bloccare il deterioramento, esprime una cultura pittoricistica con ampi riferimenti alla maniera di Luca Giordano, che per tutti quegli anni diventa il riferimento principale del giovane Solimena. Su questi affreschi esiste una copiosa letteratura, che, a partire dal volume di Bologna del 1958, ha ormai chiarito molti aspetti. Del pannello raffigurante Le sante condotte al martirio esiste anche un bozzetto in collezione privata, che evidenzia i riferimenti della cultura del giovane Solimena, interessato sia al Giordano sia a Pietro da Cortona. Dell’altro riquadro, invece, raffigurante La visione di suor Agneta, più insistenti sono i richiami giordaneschi. Della suor Agneta, invece, esistono una serie di repliche che indicano la fortuna del soggetto presso lo stesso Solimena, a cominciare dalla piccola Madonna del Rosario della Pinacoteca di Bari al bozzetto in Collezione Pisani a Napoli.
L’ampio spazio dedicato alle tre sante, come è stato chiarito da studi recenti, aveva anche la finalità di promuovere il loro patronato della città insieme a san Matteo e ai santi Caio, Fortunato ed Anthes. Una istanza in tal senso fu inoltrata alla fine degli anni novanta del XVII secolo.
Intorno al 1690 fu realizzato da Francesco Solimena il dipinto raffigurante San Michele Arcangelo, che si colloca in una fase stilistica del pittore caratterizzata da un recupero, in chiave barocca, del tenebrismo naturalistico, mentre da un punto di vista iconografico riprende l’omonimo dipinto del padre per il duomo di Sarno. Proprio questa datazione era già stata proposta dal Bologna, confutando il De Dominici che aveva associato l’opera agli affreschi della stessa chiesa. Una importante conferma documentaria per la datazione viene dalla badessa Isabella Pinto, la quale afferma come nel secondo triennio di badessato have incominciato a metter tutta la chiesa in oro, e farvi una nova cappella con un quadro di prezzo di San Michele Arcangelo.
Il bel portale rinascimentale della chiesa fu commissionato dalla badessa Lucrezia Santomagno, le cui iniziali insieme alla data 1560 sono incise sui blocchi laterali, ma esso non doveva essere ancora in funzione dell’ingresso della chiesa come si vede oggi. La sua collocazione originaria è collegata a diversi rimaneggiamenti che si verificano proprio nello spazio antistante la chiesa (da chiesa a parlatorio). Così nella Sacra Visita cinquecentesca si dispone “che si fabbrichi la porta della chiesa piccola dove hogi si celebra dalla strata et si sfabrichi l’intelatura di detta chiesola acciò di detto loco si possino servir per parlatoio sì come era prima”.
In un successivo documento settecentesco si trova una importante conferma in quanto in una istanza al papa si afferma “che la Chiesa magnifica per tutte le sue parti si trova dentro il recinto del monastero, essendovi anco davanti la chiesa il loro parlatorio dentro del quale è la porta della clausura, di modo che serrandosi detta porta, che è nella strada, resta la chiesa dentro del parlatorio facendo un corpo con la clausura”.
Concerto Profonda Leggerezza
del 18 marzo 2023
Alcune immagini del concerto #ProfondaLeggerezza in scena nella bellissima Chiesa di San Giorgio di Salerno il 18 marzo 2023 con l’ Orchestra Filarmonica Campana diretta da Giulio Marazia con Pier Carmine Garzillo, Federica Severini e Francesca De Filippis solisti.
Gli scatti sono di Giuseppe Corsini Fotografo.
© Orchestra Filarmonica Campana